Signor Malaussène

Signor Malaussène / Daniel Pennac ; traduzione di Yasmina Melaouah. - Milano : Feltrinelli, 1995. - 444 p.

Daniel Pennac

Note particolari

È il quarto romanzo della saga dei Malaussène di Belleville (quartiere parigino):

in un modo o nell’altro, fanno capolino, anche solo attraverso i ricordi dei sopravvissuti, quasi tutti i personaggi delle tre "puntate" precedenti.

Il protagonista è ancora Benjamin Malaussène con il ruolo di caproespiatorio (infatti nelle tre precedenti occasioni ne fa una professione, dapprima in un Grande Magazzino, dove deve subire i reclami dei clienti, poi in una Casa Editrice con le lagnanze degli autori non pubblicati). Fratellastro maggiore di una vera e propria tribù di eroi grotteschi e surreali, Benjamin, suo malgrado, si ritrova, come in una fantastica geometria non euclidea, nel punto d’incontro di mille linee parallele. Tutte gli elementi narrativi finiscono con l’implodergli in faccia, accusato di essere colpevole di ogni nefandezza fin lì raccontata.

Si tratta di un poliziesco (efferati crimini pulp, trappole al criminale, interrogatori, morti ammazzati, rapimenti ...) ma non è una detective story (con l’investigatore alla ricerca della verità) né un thriller (il serial killer è sommerso da una teoria di personaggi da non risaltare in modo particolare).Nell’intricata trama spicca la curiosità di come alla fine Malaussène verrà riconosciuto innocente (e che fine farà la sua paternità!).

Nel romanzo si parlerà molto (con ironia) di cinema e cinefili: un Film Unico da proiettare per pochi eletti ed una serie di avidi "uomini di cinema". Si discuterà di teatro e di letteratura: Jeremy (uno dei Malaussène) sta preparando uno spettacolo esuberante sulla vita del fratello, ma passerà alla scrittura di un romanzo incentrato sulle stesse vicende della saga (gioco metanarrativo dell’Autore). Si citeranno opere pittoriche rinascimentali in un modo quantomeno insolito: le prostitute rapite e uccise sono vittime di un giro di collezionisti di inconsueti tatuaggi.

L’incipit mi sembra notevole per come possa incuriosire, sorprendere:

Il bambino era inchiodato alla porta come un uccello del malaugurio. I suoi occhi plenilunio erano quelli di una civetta.

Loro salivano le scale quattro a quattro. Naturalmente ignoravano che questa volta gli avevano inchiodato un moccioso alla porta. Pensavano di avere già visto tutto e quindi correvano verso la sorpresa. Ancora due piani e un piccolo Gesù di sei o sette anni avrebbe sbarrato loro la strada. Un bimbo-dio inchiodato vivo a una porta. Chi può immaginare una cosa simile? [pag. 5?]

 

Chi può immaginare una cosa simile se non l’Autore di questo romanzo che stiamo iniziando a leggere? Mi sembra che in tutto il romanzo l’Autore giochi con il lettore: si finisce con l’essere un ulteriore personaggio di questa grottesca famiglia e si ha l’onore di condividere con essa il gusto del romanzesco.

Il linguaggio immaginifico unito alla fantasia dell’intreccio, il gusto per il realismo magico dei personaggi, i dialoghi pieni di ironia e cinismo: ogni lettore può prendersi ciò che preferisce. Personalmente mi piace che ci siano, come in quelli di Calvino, squarci di pensieri esistenziali, anche se, sinceramente, non sempre estranei ad una specifica retorica letteraria.

Era uno di quei momenti in cui, malgrado i nostri tormenti interiori, siamo segretamente contenti di non essere l’altro. Così si sferruzzano i lutti. Piccoli istanti di gioia tra assalti della disperazione, un diritto e un rovescio, fino alla felicità ritrovata di essere se stessi... Sì deve essere questa, dopo tutto, la felicità: la soddisfazione di non essere l’altro. [pag. 194, è Malaussène che parla]

"Ma lei non tace mai?" domandò Postel-Wagner in tono da conversazione.

La nipote rifletté in silenzio alla domanda. Si posò sulle labbra un dito vistosamente riflessivo.

"No", rispose infine. "E sa perché?"

"Perché?" domandò Postel-Wagner.

"Perché il giorno in cui tacerò, non dirò proprio più niente."

L’ambulanza procedeva quasi a passo d’uomo.

"E quando una donna tace a quel punto, è la fine del mondo."

[CUT]

Inginocchiato sul sedile anteriore Thomas guardava la nipote.

"Non dici più niente?" insistette.

In effetti la nipote non diceva più niente.

"Guardami quando ti parlo".

La nipote incrociò lo sguardo di Thomas. Le parve di vedere il suo stesso sorriso sulle labbra del ragazzino. Impressione confermata quando il bambino, alzando un sopracciglio fatidico, dichiarò con voce dolce e saputella, appena un po’ viperina:

"Be’, hai visto, non parli più ma non è mica la fine del mondo"

[pag. 249 / 251]

Due secondi dopo il lucioperla aveva abbandonato il suo elemento naturale. Rabdomant l’ha staccato con un sorriso da buongustaio.

"Carino, il ragazzo, eh?"

E l’ha ributtato in acqua.

Il lucioperla, che tra le sue dita era come morto, è esploso di vita a contatto della Senna.

"Solo per fargli sapere che Dio esiste" ha spiegato Rabdomant, "e che non bisogna abboccare al suo amo."

Ho indicato le lasche, i ghiozzi, i pagelli, tutti i bianchetti del nostro cesto, i due persici e il pesce gatto e ho domandato:

"Perché lui sì e loro no?"

"E’ proprio il genere di interrogativo che Dio non si pone."

[pag. 413, dialogo tra l’ispettore Rabdomant e Benjamin Malaussène]